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Empowerment femminile e moda: un amore per sempre

di Zummy Team

Ogni epoca ha avuto il suo ideale di femminilità: dai bustini ai bikini, dai pantaloni alle mini e agli smoking, dai reggiseni alle mise genderless… Breve viaggio attraverso simboli fashion che accompagnano da sempre le rivoluzioni, l’empowerment e le profonde trasformazioni dell’immagine della donna. Con un obiettivo: usare la moda per essere, finalmente, noi stesse. E sentirci bene così.

Questo vestito non è (solo) un vestito, ma un simbolo di empowerment!

Chi ancora oggi pensa che un vestito sia semplicemente un vestito, che un reggiseno non sia nient’altro che un reggiseno, che un paio di jeans sia una presenza scontata in ogni armadio, dovrebbe prendere il primo volo per gli Stati Uniti e recarsi di filato al County Museum of Art di Los Angeles. Qui, sedersi per ore al cospetto del quadro di Magritte ”La trahison des images”, dove campeggia una pipa dipinta su uno sfondo monocromo. E soffermarsi sulla scritta rivoluzionaria “Ceci n’est pas une pipe” (in italiano: questa non è una pipa), che negli anni ’20 aprì infinite disquisizioni sulla dicotomia tra immagine e realtà.

Questo per ricordarti che la moda ha contribuito più volte, nel corso della storia, a interpretare, sostenere e dare il via ad alcuni dei più grandi mutamenti culturali e sociali. Quello dell’empowerment, dell’emancipazione femminile in primis.

La moda sostiene l’empowerment femminile

Il termine “empowerment”  indica un processo di crescita basato sull’incremento della stima di sé e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. Questo processo porta ad un rovesciamento della percezione dei propri limiti in vista del raggiungimento di risultati superiori alle proprie aspettative. L’empowerment femminile è talmente importante da essere l’Obiettivo 5 inserito nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile sottoscritto dai Paesi membri dell’ONU.

L’abbigliamento, con i suoi significati simbolici, ha sempre accompagnato le donne mentre si aprivano una strada nel mondo, mentre cercavano di affermare la propria identità. Così, a suon di tagli, di forme liberate, di lunghezze ridotte, la figura femminile si è liberata gradualmente da costrizioni e stereotipi che la ingabbiavano nella società. Il risultato ha condotto a un’estetica orientata al genderless che oggi sembra dominare la scena e che racconta la voglia di parità e i passi avanti compiuti negli anni.

ZUMMY può ben dirlo: creato da due donne per tutte le donne, non si pone il problema di identificare una tipologia di cliente cui riferirsi. Per noi, tutte le donne significa TUTTE le donne! Le vestibilità sono comode e ogni modello veste almeno due taglie. Accorgimenti e dettagli sono studiati affinché i capi possano essere plasmati sul corpo di chi li indossa, mai viceversa.

Paradossalmente, infatti, oggi che possiamo indossare tutto quello che ci pare, ci sentiamo spesso “bloccate” dal pensiero di quello che potrebbero pensare gli altri. E ci facciamo frenare dal timore di venire criticate e giudicate, dalla paura di non piacere, di non essere accettate. Siamo sulla strada giusta, ma la via per l’empowerment e l’accettazione di sé è ancora lunga.

Ogni capo è una rivoluzione

Così, abbiamo deciso di proporti un ripasso di tutti quei capi che ci hanno preceduto, che ci hanno ispirato, che non sono solo abiti. Sono simboli di empowerment, libertà, individualità, fiducia in se stesse, accettazione, serenità e progresso. Ti invitiamo a riflettere su quanto la moda ci ha aiutato (e ci aiuta tuttora!) a esprimere la nostra essenza e la nostra personalità. E, anche, a fidarti di te stessa e delle tue sensazioni, perché quando una sta bene nei panni che indossa, sta bene sempre.

Ricorda che non è più tempo di cliché, che la bellezza non è un concetto statico, non è un dato assoluto. La bellezza ha a che fare con l’individualità, la personalità, perfino con i difetti che generano armonia. Per dirla alla Alessandro Michele (il geniale ex direttore creativo di Gucci, che va dritto per la sua strada inclusiva e genderless): c’è anche una certa bruttezza nella libertà, ma a un certo punto quella bruttezza diventa affascinante. La libertà produrrà sempre qualcosa di bello.

L’anti-corsetto di Paul Poiret, una liberazione

Era il 1914: il celebre sarto disse addio agli odiosi corsetti strizzati tanto da togliere il fiato. Decise infatti di liberare le donne (e le loro silhouette) con mirabili drappeggi, pantaloni alla turca e abiti kimono.

I pantaloni di Mademoiselle Chanel

Pioniera della moda emancipata, negli anni ’30 Coco Chanel ha contribuito a liberare le donne dall’abbigliamento costrittivo della Belle Époque. La sua idea era proporre capi confortevoli e chic per la vita di tutti i giorni, tailleur pantalone morbidi, completi di jersey e di tweed.

I jeans

Da divisa da lavoro di fine ‘800, divennero icona di stile negli anni ’50. Personalità del cinema, come il mitico James Dean, contribuirono a renderli emblema della gioventù provocatoria dell’epoca. Il primo jeans da donna, però, venne lanciato nel 1935. Nel 1937 fece la sua prima apparizione sulle pagine di Vogue, ma, si sa, i pregiudizi sono duri a morire. Così ci volle ancora qualche anno prima che le donne poterono presentarsi in pubblico vestite in denim senza suscitare scalpore.

Il reggiseno

Legato indissolubilmente all’evoluzione della condizione femminile, il reggiseno per come lo conosciamo oggi ha origine nel 1922. Ida Rosenthal, cucitrice presso il negozio newyorchese Enid Frocks, notò che ogni modello di fascia conformata con cui venivano sostituiti i corsetti avrebbe dovuto adattarsi maggiormente alle curve di ogni donna. Così, con un piccolo investimento, iniziò a produrre reggiseni per ogni forma ed età. Una donna per le donne!

La minigonna per l’emancipazione femminile

È da sempre un capo-simbolo della battaglia femminista. Il primo orlo fu accorciato nei primi anni ’60 da Mary Quant, dopo che rischiò di perdere la fermata dell’autobus a causa dell’intralcio di una gonna che ne limitava i movimenti. Creata per le ragazze londinesi più alla moda, fece il giro del mondo in un battito di ciglia e vi rimase per sempre.

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Il bikini per l’empowerment

Inventato negli anni ’40 dal francese Louis Réard, il bikini prese il nome dall’atollo delle Isole Marshall dove gli americani conducevano esperimenti nucleari. Il due pezzi “esplosivo” liberò finalmente la donna dagli scomodi camicioni di qualche decennio prima. Ma impiegò più di un decennio per essere accettato: lo sai che sulle spiagge del litorale italiano degli anni ‘50 era tassativamente vietato?

Il power suit da donna

Una delle prime immagini di questo insieme comparve su Vogue America nel 1933 e ritraeva nel suo tailleur pantalone androgino la divina Marlene Dietrich, che insieme a Katharine Hepburn e a Greta Garbo fece scalpore indossando completi maschili con intrigante nonchalance. Sì, perché fino agli anni ’50, le donne in pantaloni potevano essere accusate(e sanzionate) di voler impersonare un uomo e attentare all’identità di genere! Altro che empowerment! Prima di allora, dal capostipite dei tailleur nato nel 1885 (commissionato al sarto John Redfern dalla stilosissima Regina Alessandra, moglie di Edoardo VII del Regno Unito) fino a quelli in jersey e tweed di Chanel e ai New Look in coppia con la Bar Jacket di Dior, i completi prevedevano giacca e gonna. I pantaloni non erano cosa per donne. 

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La giacca destrutturata di Giorgio Armani

A metà degli anni ’70, Giorgio Armani decise di rivoluzionare un capo classico come la giacca, rendendola meno austera e rigorosa. Gli toglie tutto: le tele di sostegno interne, l’imbottitura, il rigore che sopravviveva dagli anni ‘50. Sposta bottoni, modifica spalline. E in questo incredibile gioco di sottrazione tipico del suo stile controcorrente nasce il suo capolavoro, una giacca informale ma elegantissima che ammalia il pianeta e che viene proposta anche per la donna, che Armani concepisce vestita di un nuovo tailleur pantalone, simbolo di empowerment a partire dagli ’80. La sua moda è per una donna nuova, che lavora, che attraverso il suo look può far percepire il suo potere, la sua femminilità e la sua indipendenza senza esagerazioni, senza provocazioni, ma con un tasso di seduzione per intenditori.

Lo smoking

Uno degli aneddoti più belli sullo smoking da donna riguarda la famosa socialite Nan Kempner, habitué del ristorante di culto La Côte Basque di Manhattan, che nel 1968 si vide rifiutare l’ingresso a causa di uno smoking. Lei reagì togliendosi i pantaloni e legandosi la giacca intorno alla vita, indossandola come una gonna. Come darle torto? Era “Le Smoking” creato dall’amico Yves Saint Laurent, ispirato alle mise di Marlene Dietrich e indossato in pubblico per la prima volta da Catherine Deneuve.

Era il primo abito sartoriale da uomo adattato alla silhouette femminile. È grazie a Saint Laurent se, ancora oggi, una donna in smoking è capace di offuscare qualsiasi abito principesco: offrì alle donne non solo la possibilità di indossare pantaloni, ma di sfoggiare con uno charme senza pari un simbolo di potere che la società di allora temeva molto quando a portarlo non era un uomo. L’empowerment era ancora un miraggio.

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La T-shirt

Come i jeans, la T-shirt subì una transizione da capo da lavoro e indossato dai soldati del primo conflitto mondiale  a must-have adatto a chiunque, ovviamente unisex. Sdoganata negli anni ’50, diventa un cult grazie a sex symbol come James Dean e Marlon Brando. Grazie a designer come Maria Grazia Chiuri di Dior o a Vivienne Westwood, le T-shirt diventano anche il muro bianco su cui imprimere slogan femministi, potenti e  glam.

Hot pants

Nonostante siano iniziati ad apparire a metà degli anni ‘40, è negli anni Cinquanta che gli hotpants subirono un vero e proprio boom, anche grazie alla canzone “Shorts Shorts” dei Royal Teens, rimbalzata su tutte le radio. In poco tempo le attrici di Hollywood vennero conquistate da quei pantaloncini cortissimi, rendendoli un capo glam da indossare in spiaggia e in città, in stile pin up o più urbano, liberando finalmente le gambe. Thanks to Marylin Monroe e Brigitte Bardot, su tutte.

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Il wrap dress

Anticipato dai design di Elsa Schiaparelli e Claire McCardell, rispettivamente negli anni ‘30 e ‘40, il wrap dress (ovvero l’abito scollato a V con cinturina in vita) divenne celebre nei primi anni Settanta grazie a Diane von Füstenberg. La designer ideò infatti il capo icona che ancora oggi identifica la sua maison e che sta bene sempre a tutte: un abito avvolgente, con lunghezza al ginocchio e maniche lunghe. Un emblema di libertà assoluta nato in sartoria con un’astuzia ingegneristica: il nastro che facciamo girare attorno al punto vita può essere regolato come meglio desideriamo, modificando in un colpo solo punto vita e scollatura, rendendo quest’abito più o meno sexy a seconda dell’occasione e dell’umore.

Lo sportswear

Moda e sport sono legati da sempre. Nell’era moderna sono diventati indissolubili dal momento in cui Coco Chanel (sempre lei!) decise di utilizzare tessuti sportivi come il jersey nel prêt-à-porter. Negli ultimi decenni tuttavia, in passerella si sono imposte sempre più silhouette riconducibili direttamente a specifici sport come il basket, il football, l’atletica, rendendo lo sportswear un nuovo simbolo di lusso moderno. Quanto ci piace la gonna tubino con tacchi e felpa della tuta un po’ rétro? E un paio di jogger sportivi con il blazer impeccabile? E le sneaker sotto lo smoking o l’abito da sposa.

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