
Fashion Revolution Week, sfila la moda etica e sostenibile
di Gloria De Lazzari
Sette giorni di appuntamenti
con la campagna globale ricorda la tragedia del crollo del polo tessile di Rana Plaza, in Bangladesh, e sensibilizza aziende e consumatori sui temi dei diritti dei lavoratori e della salvaguardia ambientale.
Per questa nona edizione sono in programma iniziative ed eventi in 86 paesi del mondo, distribuiti su un calendario fitto di appuntamenti per 7 giorni, nei quali ricordare il quarto più grande disastro industriale della storia e lavorare perché non si ripeta più. Sono i numeri della Fashion Revolution Week 2022 (https://www.fashionrevolution.org/), la campagna globale che, a partire dal 2014, torna puntuale ogni anno nel mese di aprile per sensibilizzare aziende e consumatori sull’importanza di una moda etica e sostenibile.
Quest’anno la manifestazione si svolge dal 18 al 24 aprile e si articola in un ricco cartellone di eventi on line e in presenza: tavole rotonde, workshop, webinar, performances teatrali, iniziative di scambi di vestiti per donare nuova vita agli abiti smessi e ridurne l’impatto ambientale e – come per ogni settimana della moda che si rispetti – sfilate in passerella.
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Consulta qui il calendario degli appuntamenti della “Settimana della Rivoluzione della Moda” (https://www.fashionrevolution.org/events/). La partecipazione è aperta a tutti.
Fashion Revolution Week: cos’è
La Fashion Revolution Week è organizzata ogni anno a ridosso del 24 aprile perché questa data è l’anniversario della tragedia che nel 2013, in Bangladesh, causò la morte di oltre 1.100 operai tessili nel crollo di un edificio commerciale. Il palazzo fatiscente del Rana Plaza, a Dacca, ospitava su 8 piani una serie di stabilimenti nei quali lavoravano, senza alcuna tutela, oltre 5mila persone, per lo più giovani donne, operaie tessili impiegate dai maggiori marchi della moda occidentale. Nel cedimento strutturale rimasero coinvolti circa 3.600 addetti: oltre 1.100 non si salvarono, 2.500 rimasero feriti.
La catastrofe del Rana Plaza divenne tristemente nota alle cronache come il quarto disastro industriale più grande della storia e il peggiore del settore dell’abbigliamento. Prima di allora il più grave in assoluto, stavolta nel settore chimico, fu quello di Bhopal, in India, dove nel 1984 un incidente in una fabbrica di pesticidi provocò il rilascio di oltre 40 tonnellate di gas tossico e almeno 3.700 morti. A distanza di 38 anni questo evento continua a mietere vittime perché la zona risulta ancora contaminata, con gravi conseguenze sulla salute della popolazione locale.

Fashion Revolution Week: cosa significa
Per questo, nella settimana nella quale si alza forte il grido che “nessun uomo e nessuna donna dovrebbero morire per la moda, né in Bangladesh né altrove” – l’intento della Fashion Revolution Week è proprio quello di ricordarlo ogni anno al mondo intero – vogliamo proporti qualche riflessione sulle conseguenze (spesso non immediatamente visibili ma fortemente impattanti sull’intera umanità e non solo sull’ambiente) di un certo sistema che oggi ci spinge a consumare sempre più velocemente capi acquistati per pochi spiccioli e per altrettanti pochi giorni indossati. Si chiama “fast fashion” e, intendiamoci, non è un termine cattivo ma lo sono certi meccanismi che spesso lo sottendono perché basati su spreco e sfruttamento.
Parliamo di un sistema che produce qualcosa come oltre 100 miliardi di indumenti ogni anno, capi che – stimano le indagini di settore – vengono indossati in media 7 volte prima di essere gettati via. Un’economia “malata” che, mentre gonfia le casse dei colossi dell’abbigliamento low cost, quasi sempre è responsabile dell’esaurimento delle risorse naturali del Pianeta, di un inquinamento importante (soprattutto quanto a emissioni di CO2 e a smaltimento di sostanze chimiche usate per lavorare i tessuti) e dello sfruttamento di manodopera nei Paesi in via di sviluppo, proprio quelli nei quali mancano regole a salvaguardia dell’ambiente ma anche leggi a tutela dei benché minimi diritti dei lavoratori.
Per questo è proprio a te che ci stai leggendo che proponiamo di fare la prima mossa. Sì, hai capito bene: anche tu puoi (e devi) fare la tua parte nella rivoluzione del mondo fashion, per far sì che l’industria della moda riduca il suo impatto ambientale e sociale e diventi più etica e sostenibile.
Come? È semplice: scegli capi realizzati con fibre di origine naturale e colorati con tinture certificate, prive di sostanze tossiche. Impegnati a sostenere con le tue scelte di consumatore consapevole un’economia circolare della moda, nella quale i prodotti possano essere decomposti (se realizzati in fibre che lo consentono) e, soprattutto, avere lunga vita. In questo modo, comprando capi di qualità e durevoli nel tempo – dunque ad un prezzo adeguato – contribuirai anche ad arginare il triste fenomeno per il quale molti grandi marchi “fast fashion” ancora oggi non pagano salari dignitosi ai propri lavoratori.
Non a caso, il tema della Fashion Revolution Week di quest’anno è “Money Fashion Power”.


«L’industria della moda tradizionale si basa sullo sfruttamento del lavoro e delle risorse naturali. Ricchezza e potere sono concentrati nelle mani di pochi e la crescita e il profitto sono premiati sopra ogni cosa» scrivono gli organizzatori del movimento. Al contrario, «non esiste moda sostenibile senza una retribuzione equa» sostiene l’organizzazione no-profit in prima linea nel combattere sfruttamento e sprechi.
La Fashion Revolution Week vuole rovesciare questo “sistema” attraverso:
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una moda che tenga conto di profitto, persone e ambiente insieme
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una più equa ridistribuzione di denaro e potere nell’industria della moda globale
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la sensibilizzazione delle aziende all’impatto ambientale e climatico della produzione
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la promozione di una produzione tessile sostenibile
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la regolamentazione della filiera produttiva tramite criteri di trasparenza e tracciabilità
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la messa al bando delle strategie di marketing improntate al greenwashing (https://www.zummy.it/greenwashing-cos-e/)
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l’educazione dei consumatori all’importanza del riciclo e del sistema circolare nella moda (https://www.zummy.it/limportanza-del-riciclo-e-del-sistema-circolare-nella-moda/)
Fashion Revolution Week: una moda così è possibile
Sono tanti i brand di moda che hanno già dato questa nuova impronta alla loro attività e che partecipano alla Fashion Revolution Week.
Lo facciamo anche noi e lo facciamo da sempre perché ZUMMY è nato direttamente da un progetto di moda ecosostenibile, con un’ispirazione precisa: mettere lo “zoom” sulla Natura.
ZUMMY crede fortemente nella produzione di capi rigorosamente green (https://www.zummy.it/en/sustainability/) e nell’importanza della scelta dei materiali (https://www.zummy.it/materiali/): tessuti e filati attentamente selezionati all’interno di una filiera nella quale tutti i fornitori vantano requisiti tecnici e produttivi in linea con i più sinceri criteri della sostenibilità.
L’impegno di ZUMMY per una produzione 100% green
Per questi motivi tutti i tessuti in cotone acquistati da ZUMMY vantano la certificazione GOTS (scopri cos’è e come si legge un’etichetta GOTS (https://www.zummy.it/4-astuzie-per-imparare-a-leggere-unetichetta-gots/)) e quelli in poliestere riciclato la certificazione GRS (Global Recycle Standard).
In più, la nostra T-Shirt (https://www.zummy.it/prodotto/t-shirt-nera-symphy/), realizzata in India con tessuto 100% cotone organico certificato e stampe prodotte in Italia mediante inchiostri ecosostenibili e senza impiego di acqua, è certificata Fairtrade Cotton.
Fairtrade è il marchio di certificazione del commercio equo e solidale attribuito da un’organizzazione internazionale che importa e distribuisce in Italia prodotti realizzati nel Sud del mondo attraverso precisi standard che evitano lo sfruttamento dei lavoratori e dell’ambiente. L’etichetta Fairtrade Cotton sui nostri capi è garanzia del nostro impegno etico.



